I cambiamenti che avvengono in adolescenza coinvolgono in prima persona i ragazzi e chiamano in causa allo stesso tempo le loro figure adulte di riferimento .

 

Ogni adolescente va infatti incontro a cambiamenti fisici, ormonali, psicologici e comportamentali, affrontando il difficile compito di strutturare un proprio sé autonomo dopo l’infanzia, e quindi una propria identità individuale e sociale.  Il compito non semplice che ci troviamo ad affrontare come genitori, familiari, educatori, allenatori sportivi, ecc.. è pertanto quella di aiutare i ragazzi a diventare adulti sani, integrati, con una buona autostima ed in grado di muoversi nel mondo.

Prima di tutto occorre sfatare un mito.

Anche se comunemente si pensa che il maggior contributo al comportamento adolescente, e quindi all’ altalena di emozioni, al desiderio di sfida, ai grandi ideali, alla vivacità intellettiva e talvolta all’apertura che caratterizza questo periodo di vita sia determinato dai numerosi cambiamenti ormonali, sono in realtà i cambiamenti cerebrali a giocare la parte maggiore.

I processi che gover­nano il controllo del compor­tamento (corteccia prefrontale) sono infatti ancora in via di maturazione e le nuove capacità acquisite vengono via via sperimentate, mentre i circuiti delle emozioni e degli istinti (sistema limbico) si trovano invece al massimo del loro sviluppo. Esiste quindi una grossa sproporzione tra potenza sul piano emotivo ed istintuale e relativa mancanza di un adeguato sistema di controllo. Tale sproporzione verrà colmata fisiologicamente al termine del processo maturativo, che secondo alcuni studi termina addirittura attorno ai 30 anni, quindi ben oltre l’età individuata come quella dei “teen”.

Quale utilità possiamo ricavare su un piano educativo da queste scoperte?

Sicuramente dalla differenza nei tempi di maturazione di queste differenti aree cerebrali deriva una maggiore emotività, e una delle conseguenze di questa è che gli adolescenti sono, di fatto, più facilmente irritabili e arrabbiati.

Questo aspetto di per sé è una conseguenza della crescita e non va sanzionato né deriso né squalificato. Se non si arriva a situazioni estreme, la rabbia, la sfida e lo scontro rappresentano per l’adolescente un mezzo tanto per la definizione di sé quanto per entrare in relazione. Episodi di conflittualità sono inevitabili e fisiologici, e non devono di per sé spaventare anche se rappresentano un cambio repentino rispetto ad un comportamento o modo di essere precedente.

Il ruolo dell’adulto è qui importantissimo. Come adulti siamo infatti chiamati ad essere consistenti, coerenti ed in ascolto, fissando quei limiti e quei confini che possano essere messi in discussione, sfidati e trasgrediti, creando così le condizioni perché l’adolescente possa imparare dall’esperienza. Relazioni improntate solo alla collaborazione e senza scontri, ribellione o critica non contengono, in questa fase, fattori evolutivi.  È molto probabile che un figlio adolescente si arrabbi con un genitore, attacchi  le sue idee e lo critichi anche duramente: il modo in cui il conflitto verrà gestito, affrontato e riconosciuto dall’ adulto come una parte normale e sana della vita rappresenterà un insegnamento importante ed un tassello fondamentale nella formazione della sua identità.

 

BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA

  • Sowell E.R., Thompson P.M., Holmes C.J., et al. In vivo evidence for post-adolescent brain maturation in frontal and striatal regions, in Nature Neuroscience, 1999;2;859-61
  • univisconti.it/
  • savethechildren.it